La scuola ai tempi dell’emergenza: le nuove sfide per la valutazione e l’autovalutazione

Durante uno dei tanti webinar cui mi è capitato di partecipare durante il recente periodo del lockdown, dovuto all’emergenza pandemica del virus Covid-19, mi ha colpito la testimonianza di un’insegnante che riportava il commento di un suo alunno lasciato sul blog di classe: “La scuola ci manca troppissimo!”. Si tratta di un’affermazione per tanti versi interessante, al di là del… superlativo avverbiale.  

Anzitutto essa certifica un curioso e insospettabile paradosso. Tutto ci si aspetterebbe tranne che la scuola possa mancare a un bambino. Probabilmente la sorpresa diminuisce se si prova a dare contenuto al termine “scuola”. Non manca il dispositivo di scuola, non mancano i compiti, non mancano i voti. Manca la socialità, mancano gli amici, mancano le routines. È uno spazio di vita di cui i bambini sono stati deprivati, ritrovandosi con una socialità alterata, con tempi da riempire diversamente, con una giornata che ha perso i piccoli riti che servono a scandirla e a renderla vivibile. 

Inoltre, questa frase, ratifica quello che ormai a mesi di distanza abbiamo capito molto bene e cioè che quel che abbiamo continuato a chiamare scuola al tempo della DAD probabilmente era altro, almeno nel vissuto dei bambini. Questo significa che tutto quello che è mancato “troppissimo” è proprio ciò che non si è stati in grado di surrogare, non per colpa della tecnologia, ma per un difetto di comprensione del suo significato profondo e, di conseguenza, di progettazione. 

Infine, quella frase consegna a tutti noi, ricercatori e insegnanti, un compito per il futuro. Si tratta di capire quali siano gli indicatori che fanno della scuola un’esperienza così importante, tanto da far dire a un bambino che gli manca in modo esagerato. Qui la riflessione sulla tecnologia non basta. Occorre tornare a riflettere sulle proprie pratiche di scuola, sul modo in cui i processi vengono progettati e condotti, in una parola occorre tornare a mettere nel mirino l’autovalutazione come dispositivo grazie al quale avere il polso in tempo reale di quel che siamo e di quanto e come riusciamo a colmare quel “bisogno di scuola” così simpaticamente espresso da quel bambino con il suo post.   

La progettazione, prima di tutto 

Un primo fattore è costituito dalla progettazione. Quando si intende allestire un sistema di apprendimento a distanza occorre capire che non serve reduplicare, ma occorre riprogettare. E riprogettare significa tenere in conto una serie di fattori. 

Anzitutto va ricostruita la situazione d’aula, con i suoi spazi e i suoi tempi. Lo aveva capito molto bene un’insegnante di scuola dell’infanzia “incontrata” durante un webinar nello scorso mese di marzo. Aveva allestito un Padlet (che è una sorta di bacheca virtuale utile per appuntarsi idee e condividere materiali) in cui ogni bambino poteva disporre del proprio casellario e in cui erano stati riprodotti gli spazi tipici di una sezione. Allo stesso modo vanno ricostruite le routines tipiche dell’aula: i rituali di ingresso, di benvenuto, e quelli di commiato. 

Lo studente on line è uno studente atipico. Occorre mettersi nei suoi panni, calcolare le sue ore effettive di lavoro, non esagerare con i carichi didattici e cognitivi. Partecipare a una lezione a distanza mette a dura prova l’attenzione, ancor più di quanto non succeda in classe. Ed è più difficile pianificare il lavoro, organizzarsi. Vengono meno per lo studente distanziato gli orologi quotidiani e settimanali: sta a lui darsi ritmi e pause di lavoro, un lavoro non facile, che richiede applicazione e metodo. L’insegnante deve essere attento a queste dinamiche e chiedersi come possa in qualche modo essere di aiuto per i suoi studenti su questo piano. 

Ancora, una cura particolare merita la preparazione dei materiali. Quando si lavora on line non si può improvvisare, serve la progettazione esplicita dei singoli passaggi. Questo comporta riflettere sul formato e la durata dei contenuti. Lavorare a distanza richiede di adottare tecniche di microlearning, ovvero: ridurre il minutaggio delle clip video, contenere la lunghezza dei testi scritti, parametrare tutto sull’economia dell’attenzione che si può immaginare appartenga allo studente che segue da casa il lavoro didattico. 

Infine, chiare devono essere le consegne e l’insegnante non deve dimenticarsi di accompagnare il lavoro dello studente con dei cosiddetti job aids, ovverosia schede operative che scandiscono passo dopo passo le attività da svolgere. Si tratta di uno strumento importante, sia perché serve a sostenere e sviluppare l’autonomia cognitiva dello studente, sia perché consente di non richiedere al genitore un lavoro eccessivo di affiancamento del figlio.   

Far lezione, valutare 

Far lezione e valutare, quando si fa didattica a distanza, sono attività ancor più prossime di quanto normalmente non succeda in classe.  O meglio: dovrebbe essere così per evitare problemi. 

Valutare a distanza è sicuramente difficile, forse impossibile, se:

1) si riduce tutto alla valutazione sommativa, espletata attraverso test e prove oggettive;

2) la misurazione è l’unica preoccupazione a discapito degli altri due momenti costitutivi dell’atto valutativo, ovvero l’apprezzare e il conoscere (Hadji, 1992). 

In questa situazione – quella di un insegnante che ricorra a prove sommative e sia preso esclusivamente dal problema della misurazione – logicamente l’esigenza del controllo diviene preponderante, per non dire quasi esclusiva: ci si preoccupa che le prove siano valide, che gli studenti non copino, che non si facciano suggerire le risposte. Il risultato è che la regolarità fa perdere di vista completamente gli apprendimenti. Questa in effetti è stata la cosa che più mi ha sorpreso nei dibattiti sulla valutazione durante l’emergenza: che nessuno si preoccupasse di come capire se e come gli studenti stessero apprendendo. 

Un’alternativa a questa prospettiva esiste se ci si colloca dal punto di vista di una valutazione autentica e formatrice. Questo accade se agire didattico e valutazione, come accennavamo sopra, coincidono, cosicché ogni microattività dello studente sia contestualmente un elemento valutabile per l’insegnante. È quel che la Earl (2012) chiama assessment as learning.  

Il far lezione, come si capisce, ne risulta modificato. Ancora una volta è il microlearning la logica più adatta. Esso chiede all’insegnante di segmentare la sessione di lavoro in microfasi, di prevedere tra una fase e l’altra delle piccole pause attive (spaced learning), di verbalizzare ogni passaggio accompagnando l’azione dello studente, dandogli la parola, stimolandone gli interventi. Ogni fase di lavoro deve prevedere la produzione di piccoli artefatti; allo stesso modo vanno create le condizioni perché le microprestazioni dello studente (domande, interventi, commenti, ecc.) siano registrate e documentate. Sono queste produzioni materiali e verbali di cui l’attività didattica risulta disseminata a consentire la valutazione diffusa. 

Chiaramente nella classe va costruita una cultura della valutazione adatta alla prospettiva che stiamo descrivendo: gli studenti devono sapere di essere valutabili sempre e vanno accompagnati a scaricare emotivamente il momento della prestazione rivalutando l’errore come opportunità di apprendimento. 

A supporto di tutto questo può tornare di grande utilità l’adozione di un e-portfolio in cui lo studente possa raccogliere, documentare e corredare di commenti metacognitivi le sue produzioni.   

L’importanza dell’autovalutazione 

Come si anticipava all’inizio, mettere a fuoco quanto siamo venuti argomentando – sul piano della progettazione, del far lezione, della valutazione – dipende dalla consapevolezza sviluppata nei confronti della tecnologia, dei suoi usi, della sua integrazione nel processo di insegnamento e apprendimento. Si tratta, insomma, di una consapevolezza che deriva dalla capacità dei professionisti della scuola di riflettere sulle loro pratiche dopo averle isolate e documentate.  

È questo uno degli obiettivi dell’azione Valu.E for Schools coordinata dall’INVALSI nell’ambito del Progetto PON Valu.E. L’INVALSI, infatti, con il contributo delle Università Cattolica di Milano, di Bologna, di Torino, dell’Organizzazione per la Preparazione Professionale degli Insegnanti (OPPI) e dell’operatore specializzato Know K, partner dell’azione, ha elaborato un piano di interventi per l’aggiornamento professionale degli educatori sulle competenze autovalutative in ambito scolastico. Le attività di ricerca/azione che in questi mesi hanno coinvolto oltre quattrocento fra dirigenti scolastici, insegnanti e ricercatori sono presentate negli articoli che compongono questo numero di Valu.Enews . Il risultato principale che il Progetto ha l’ambizione di raggiungere con le scuole delle 9 regioni italiane coinvolte (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Puglia, Campania e Sardegna) è quello di accompagnarle in un percorso di consapevolezza autovalutativa sui  processi gestionali, didattici e, in senso ampio, formativi. 

La metodologia di lavoro adottata si avvale delle nuove tecnologie informatiche, prevedendo sia incontri a distanza sia momenti di interscambio diretto, con l’intervento tanto dei professionisti del mondo scolastico quanto dei ricercatori universitari e dell’INVALSI, consentendo alle numerose scuole coinvolte di confrontarsi e di lavorare insieme. Uno dei focus sarà proprio sulle nuove tecnologie che del progetto rappresentano, per così dire, uno degli assi portanti, almeno per tre ordini di motivi. 

In primo luogo, le nuove tecnologie hanno rappresentato sinora il principale spazio di interscambio durante e dopo il periodo del lockdown e le piattaforme informatiche continueranno a offrire un prezioso luogo di incontro virtuale. 

In secondo luogo, la tecnologia è anche uno degli oggetti del progetto. Il digitale, il suo impatto sull’organizzazione e sulla didattica, è inevitabilmente oggi uno dei punti di assoluto interesse del processo di autovalutazione di una scuola. Dalla consapevolezza su questi aspetti, come abbiamo visto in questo Editoriale, dipende in larga parte la possibilità per la scuola di attendere ai suoi compiti in questa delicata congiuntura storica e culturale. 

Infine, la tecnologia costituisce anche uno dei principali strumenti per documentare, archiviare e rendere diffuse su più larga scala le pratiche di ricerca/azione introdotte e inaugurate dal Progetto Valu.E. In tal senso la possibilità di videodocumentare, nonché quella di pubblicare newsletter tematiche online dedicate alle competenze di autovalutazione per il mondo della scuola offriranno ai ricercatori e agli educatori utili spazi di condivisione delle idee e delle riflessioni emerse: i partecipanti al Progetto auspicano di raccogliere mediante gli strumenti informatici un corredo simbolico e di approfondimento interessante, utile a riconoscere e rimuovere stereotipi sulla valutazione e l’autovalutazione a scuola, ma soprattutto a individuare spunti generativi.    

Pier Cesare Rivoltella

Professore ordinario di Didattica e Tecnologie dell’istruzione presso l’Università Cattolica di Milano
Direttore del CREMIT – Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, l’Innovazione, la Tecnologia

Per approfondire: 

Earl, L. (2012). Assessment as Learning. Using Classroom Assessment to Maximize Student Learning. London: Corwin.

Hadji, C. (1992). La valutazione delle azoni educative. Tr. it. ELS, Brescia 2017.

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