La Redazione di Valu.Emag ha incontrato nelle scorse settimane i professori Chris Brown e Cindy Poortman che, per l’ICSEI – Congresso Internazionale per l’efficacia e il miglioramento della scuola (International Congress for School Effectiveness and Improvement), sono tra i pionieri del lavoro sullo sviluppo delle competenze professionali del personale scolastico, nell’ambito delle attività del network internazionale di ricerca inerente il Professional Learning (PL), da essi congiuntamente presieduto. Dal confronto reciproco è nata una discussione appassionante che trae le mosse dal recente Congresso Internazionale ICSEI del 2021 dal titolo Crossing Boundaries and Building Bridges (tr.it.: “Attraversare i confini costruendo ponti”), che ha riunito, come ogni anno, centinaia di ricercatori e professionisti del mondo scolastico, per la prima volta chiamati a raccolta in modalità telematica a causa dell’emergenza Covid. Oltre a soffermarsi sui rilevanti obiettivi del Congresso di quest’anno, i due ricercatori hanno avuto la possibilità di confrontarsi sui temi della motivazione e sullo scambio di buone pratiche per la creazione di reti di professionisti del mondo della scuola per il miglioramento delle proprie competenze di analisi e lettura dei processi educativi e organizzativi.
Chris Brown è Professore di educazione alla School of Education dell’Università inglese di Durham e, da quest’anno, siede nel Board dell’International Conference for School Effectiveness and Improvement. Brown si occupa prevalentemente di approfondire il concetto di ‘reti di apprendimento professionale’ (o Professional Learning Network in lingua inglese) come mezzo per promuovere l’apprendimento collaborativo degli insegnanti. Nell’aprile 2021 è stata pubblicata per la casa editrice britannica Emerald Publishing la monografia Educating Tomorrow. Learning for the Post-Pandemic World, scritta insieme a Ruth Luzmore (Dirigente scolastica della St. Mary Magdalene Academy di Londra).
Cindy Poortman è Professoressa associata presso l’Università di Twente nei Paesi Bassi. Nell’ambito della ricerca e della didattica, si occupa di sviluppo professionale degli insegnanti e dei dirigenti scolastici mediato dalle reti di apprendimento professionale. Poortman è inoltre responsabile del Programma di ricerca per l’educazione dei futuri ingegneri 4TU.CEE (Centre for Engineering Education) dell’Università olandese di Twente.
Brown e Poortman sono co-fondatori e coordinatori della rete “Professional Learning Networks” nell’ambito delle attività di ricerca dell’ICSEI e hanno curato il volume Networks for Learning: Effective Collaboration for Teacher, School and System Improvement (Routledge, Londra 2018).
Professor Brown, durante il Congresso internazionale ICSEI del marzo di quest’anno, Lei è stato eletto a far parte del Board dell’associazione di ricerca che raggruppa ricercatori, insegnanti e policy-maker provenienti da tutti e cinque i continenti. Quali impressioni ha avuto dal primo Congresso interamente a distanza dopo trentaquattro anni di vita dell’associazione di ricerca?
«Il Congresso ICSEI rappresenta da sempre una grande opportunità per entrare in contatto di persona con ricercatori di tutto il mondo: questo è un aspetto importante per discutere del nostro lavoro e pianificare future collaborazioni. Se pensiamo alla modalità telematica con cui si è svolto il Congresso quest’anno, possiamo dire che dalla presentazione degli abstract dei contributi sino alla realizzazione del programma scientifico tutti i soggetti coinvolti hanno lavorato duramente per rendere ICSEI 2021 la migliore esperienza online possibile. Molta attenzione è stata dedicata, come gli altri anni, alle possibilità di interazione tra i ricercatori nonostante la distanza fisica, dimostrando che la stessa comunità ICSEI rappresenta una rete per lo sviluppo di competenze professionali per tutti i professionisti della scuola coinvolti: tutti noi, infatti, abbiamo, grazie all’ICSEI, la possibilità di continuare a ispirarci a vicenda e a imparare insieme. Senz’altro, però, incontrarsi dal vivo è tutta un’altra cosa e non vediamo l’ora di incontrarci di nuovo di persona non appena sarà possibile».
Professoressa Poortman, pensa che i rilevanti obiettivi dell’ICSEI siano stati riconfermati, pur nell’ambito di un Congresso svolto per intero a distanza?
«La pandemia ci ha mostrato che sono possibili nuovi modi di lavorare e collaborare e l’ICSEI non fa eccezione. Se è vero che ciò che più mi affascina dell’ICSEI come associazione internazionale di ricerca è il profondo senso di appartenenza comune e il “fare comunità”, ritengo che anche quest’anno, pur in un Congresso che si è svolto interamente online, siamo riusciti a riproporre molti degli obiettivi a cui l’ICSEI presta attenzione nei Congressi annuali che si svolgono in presenza. La platea dei Keynote Speaker, in particolare, ha favorito uno scambio di conoscenze davvero significativo, offrendo argomenti stimolanti, ma soprattutto lungimiranti e innovativi rispetto al futuro dell’educazione».
Professor Brown, quale rapporto esiste tra valutazione formativa, efficacia scolastica e miglioramento educativo?
«Una valutazione svolta in maniera intelligente può contribuire a misurare con successo l’efficacia educativa. È opportuno chiedersi, con un approccio comparativo, come mai alcuni interventi di formazione che vengono realizzati abbiano successo in un determinato contesto, mentre non abbiano successo in contesti differenti. Allo stesso tempo, bisogna anche studiare attentamente le motivazioni che possono influire negativamente su alcuni interventi di formazione messi in atto. La valutazione proficua, a mio parere, è quella più attenta possibile al contesto di riferimento di ciascun intervento realizzato, ma soprattutto è quella valutazione che si rivela interessata a favorire e concretizzare il cambiamento educativo: occorre soffermare lo sguardo sulle attività e sulle interazioni che vengono via via proposte, su quali siano i fattori che promuovono il libero confronto tra i partecipanti a ciascun intervento promosso, su quali ostacoli i partecipanti potrebbero incontrare nel proprio percorso di crescita e, alla fine di ciascun programma, su quale tipo di cambiamento si sia concretamente realizzato rispetto agli obiettivi formativi previsti in partenza. Una volta che abbiamo preso coscienza di questa pluralità di aspetti, possiamo finalmente coadiuvare gli educatori mediante proposte formative attente a impostare il cambiamento educativo».
Professoressa Poortman, in che modo ritiene che la partecipazione a programmi di miglioramento delle competenze dei professionisti del mondo educativo possa favorire il miglioramento delle scuole?
«In un lavoro di ricerca che stiamo portando a termine insieme a Kim Schildkamp e Chris Brown, stiamo finalmente cercando di capire con misurazioni oggettive quale correlazione vi sia tra alcuni interventi che in questi anni abbiamo impostato a sostegno dello sviluppo professionale degli insegnanti e dei professionisti del mondo educativo con i risultati degli studenti. Soprattutto sul fronte dell’analisi qualitativa, sono ormai diverse le revisioni sistematiche che mettono in luce effetti positivi in termini di miglioramento dei risultati degli studenti grazie alla partecipazione dei propri educatori a reti di sviluppo di competenze professionali, ma la sfida è oggi quella di avere dati ancora più pregnanti su questa correlazione, al fine di migliorare le proposte concettuali e metodologiche che si possono mettere in campo. Da questo punto di vista, può venirci in aiuto l’action theory, la teoria sociologica proposta da Talcott Parsons, molto utile per orientare all’efficacia il disegno formativo delle reti di sviluppo di competenze professionali di ambito educativo. Sicuramente un passo imprescindibile, prima di passare alla misurazione dei risultati degli interventi attuati, è quello di elaborare degli indicatori pregnanti e dalla definizione generalmente condivisa dalla ricerca scientifica rispetto a che cosa si intenda per “riflessività”, nella partecipazione dei professionisti scolastici alle reti di sviluppo delle proprie competenze professionali. Oggi possiamo affermare che un aspetto meno negativo nell’uso della didattica a distanza, largamente favorita in questo periodo caratterizzato dal Covid, è rappresentato da un’ampia mole di dati raccolti mentre le scuole impostavano le proprie esperienze di apprendimento a distanza, un insieme di dati che non potrà che arricchire quelli del contesto scolastico, che possiamo evincere dai rapporti di autovalutazione».
Ma come possiamo coniugare l’aspirazione al miglioramento delle scuole – che troppo spesso nelle linee guida nazionali sembra avere un sapore un po’ astratto e poco applicativo – con il lavoro che gli insegnanti si trovano a svolgere in classe nella loro vita di ogni giorno?
«Come docente sto seguendo con grande interesse una ricerca di due miei studenti di dottorato sulla relazione tra il lavoro di alcune reti per lo sviluppo delle competenze professionali in ambito educativo e il tema del miglioramento sostenibile della scuola. Essi stanno procedendo nell’identificazione di alcune componenti-chiave che sembrano favorire l’innovazione educativa in un’ottica che va oltre le modalità di insegnamento tradizionali. Nel proprio lavoro The conundrum research-practice partnerships face with system variability, pubblicato quest’anno sulla rivista «Studies in Educational Evaluation», il Professore australiano Stuart McNaughton ha messo in luce come “favorire l’innovazione su larga scala non può prescindere da una valutazione attenta alle specifiche condizioni di ciascun contesto di riferimento”. Ecco uno dei motivi per cui diviene essenziale ispirare a una valutazione situata il disegno progettuale sotteso ai programmi formativi proposti dalle reti di sviluppo professionale degli educatori, in cui ricercatori, insegnanti e personale scolastico – talvolta con un significativo interesse dimostrato anche dai decisori politici – lavorano insieme per concretizzare nuove prospettive educative fondate sull’innovazione, con l’obiettivo di fondo di favorire una declinazione pragmatica delle linee guida generali sulle politiche educative, coniugando questi documenti di natura generale con le conoscenze e le esperienze dirette di tutti i soggetti coinvolti a diverso titolo in questi progetti».
Professor Brown, che cosa possiamo imparare dagli interventi messi in atto a livello decentrato per lo sviluppo delle competenze professionali nelle scuole? In che modo può aiutarci l’esperienza di chi ha partecipato a programmi di questo tipo prima di noi?
«Anch’io ritengo che la chiave di volta sia quella di favorire una vera e propria “conversazione di ricerca” con tutti i soggetti coinvolti a diverso titolo nelle reti di sviluppo delle competenze professionali dei professionisti della scuola. Questo tipo di conversazioni dovrebbe favorire un confronto costante tra gli obiettivi da cui nascono gli interventi di miglioramento e l’effettiva realizzazione praticabile a partire da ciascuna realtà locale di riferimento, comprendendo in che modo ciascun partecipante possa concretamente, nel suo piccolo, determinare un cambiamento nella situazione in cui opera. Quando si procederà con la valutazione degli esiti di ciascun intervento di sviluppo delle competenze scolastiche, occorrerà prestare particolare attenzione affinché i feedback forniti dai partecipanti siano il più liberi possibile da logiche che potrebbero altrimenti condizionare una valutazione obiettiva degli interventi messi in atto: diventerà, infatti, quanto mai prezioso poter comprendere se vi siano stati difetti di policy-design o problemi nell’implementazione dei programmi. Ancora una volta, valutare processi ed esiti degli interventi attuati con la maggiore obiettività possibile diviene il fattore strategico per poter eventualmente riformulare i programmi formativi al fine di essere in futuro il più utili possibili per tutti coloro che parteciperanno ai progetti successivi, proponendo loro nuove proposte che siano le più appropriate possibili».
In quest’ambito un elemento come la propensione individuale a “mettersi in gioco” nella vita professionale per partecipare a programmi di miglioramento delle capacità di lettura dei dati e dei processi scolastici sembra essere dirimente. É così?
«La motivazione con cui il personale scolastico partecipa ai programmi di sviluppo delle proprie competenze di comprensione dei processi scolastici è un elemento vitale che influisce sulle probabilità di successo o insuccesso di ciascun intervento proposto. Come Kim Schildkamp dell’Università olandese di Twente e Amanda Datnow dell’Università della California hanno messo in luce nel loro recente articolo When Data Teams Struggle: Learning from Less Successful Data Use Efforts(2020), pubblicato sulla rivista «Leadership and Policy in Schools», è di gran lunga più proficuo coinvolgere gli insegnanti in una raccolta di dati scolastici ispirata al miglioramento continuo piuttosto che in gruppi di lavoro che si dedichino a una mera raccolta-dati che sia limitata a corrispondere a un mero adempimento burocratico. Al contempo, i professionisti del mondo scolastico si sentiranno tanto più motivati a partecipare a programmi di questo tipo quanto più essi si sentiranno liberi da condizionamenti di varia natura, quali la competitività o la vergogna sui risultati raggiunti. Ecco perché viene considerato più utile proporre agli insegnanti un lavoro di team che favorisca la condivisione di buone pratiche in termini di autoriflessione e motivazione, significativi motori di cambiamento».
Professoressa Poortman, la possibilità che i partecipanti hanno di venire in contatto con altri professionisti che operano in realtà simili, ma allo stesso tempo differenti e poco comparabili tra loro, non rappresenta un possibile limite al successo di programmi per il miglioramento delle capacità di analisi di che cosa accade nelle scuole?
«Senza dubbio la partecipazione agli interventi di miglioramento che possono essere impostati e realizzati a livello locale potrà aumentare solo nel momento in cui gli insegnanti percepiranno una possibilità concreta di migliorare le cose in quella specifica realtà di riferimento che li vede operare ogni giorno; nella misura in cui, invece, essi avranno la sensazione di partecipare a programmi vaghi e poco circostanziati rispetto alla propria realtà locale essi si sentiranno giustamente poco inclini a dedicare il proprio tempo ad attività di questo tipo. Certo non si può negare che la possibilità di dedicarsi a un lavoro concretamente percepito come “utile” rimane troppo spesso una chimera, mentre certe scuole sembrano prediligere un certo senso di “allineamento” del proprio personale interno rispetto a una visione omogenea del proprio istituto, un elemento che allontana da quell’efficacia per il miglioramento che può passare solo dallo scambio di esperienze. Va anche ricordato che, in linea generale, i programmi di miglioramento delle competenze professionali del personale scolastico hanno tanto più successo quanto più vi sia alla base un approccio condiviso orientato a migliorare i risultati raggiunti dagli studenti. Dal punto di vista della disposizione del personale scolastico a far parte di reti di sviluppo delle proprie competenze professionali penso sia utile riportare qualche citazione dei professionisti con cui collaboriamo ogni anno e che giudicano spesso gli interventi messi in atto come “stimolanti e dinamici”, “orientati all’imparare cose nuove da poter poi applicare al lavoro di ogni giorno”. Se è vero, quindi, che l’obiettivo finale delle reti per lo sviluppo professionale delle competenze deve rimanere fermamente il miglioramento dei risultati degli studenti, mentre si percorre questa strada, diviene quanto mai strategica anche la partecipazione a scambi di vedute tra i diversi protagonisti della scuola: solo in questo modo questi progetti potranno essere realmente considerati percorsi formativi piacevoli e motivanti».
Per approfondire:
Binkhorst, F. (2017). Connecting the dots: Supporting the implementation of teacher design teams [tr.it: Unire i puntini: a sostegno della realizzazione di gruppi di lavoro tra insegnanti sulla progettazione]. Enschede: University of Twente.
Brown, C., Poortman, C., Gray, H., Ophoff, J. G., & Wharf, M. M. (2021). Facilitating collaborative reflective inquiry amongst teachers: What do we currently know? [tr.it:. Facilitare l’indagine riflessiva collaborativa tra gli insegnanti: cosa sappiamo attualmente?]. In «International Journal of Educational Research», 105, 101695.
Doğan, S., & Adams, A. (2018). Effect of professional learning communities on teachers and students: Reporting updated results and raising questions about research design [tr.it.: Effetto delle comunità di apprendimento professionale su insegnanti e studenti: un report su risultati aggiornati e domande di ricerca per la programmazione]. In «School effectiveness and school improvement», 29(4), 634-659.
Prenger, R., Poortman, C. L., & Handelzalts, A. (2019). The effects of networked professional learning communities [tr.it.: Gli effetti delle comunità di apprendimento professionale in rete]. In «Journal of teacher education», 70(5), 441-452.
Tappel, A., Poortman, C.L., Schildkamp, K. & Visscher, A.J. (2020). Factors influencing the sustainability of a data use intervention [tr.it.: Fattori che influenzano la sostenibilità di un intervento sull’uso dei dei dati]. Paper presentato al XXXesimo International Congress for School Effectiveness and Improvement, Marrakech, Morocco.